L' EMIGRAZIONE TRENTINA

L’emigrazione italiana assunse caratteristiche di massa a partire dal 1870, data dalla quale iniziò a crescere rapidamente, fino a raggiungere i 269.000 espatri l’anno tra il 1887 e il 1900. Alla fine del XIX secolo gli Stati Uniti si collocavano al primo posto tra i paesi d’emigrazione transoceanica, superando l’Argentina ed il Brasile. La Francia manteneva il primato tra i paesi europei.
Pur con andamenti alterni, l’emigrazione italiana aumentò fino al 1913, con una media di 626.000 emigrati l’anno per il periodo compreso tra il 1901 e il 1913.
La prima guerra mondiale paralizzò il movimento migratorio, che riprese al termine di essa, ma senza raggiungere i numeri del periodo prebellico.
Oggi il Trentino fa parte dell’Italia, ma fino al 1920, si trovava all’interno dell’impero austro-ungarico. Si trattava di una provincia di lingua italiana sottomessa alla giurisdizione austriaca.

In Trentino la mobilità sociale occupazionale rappresenta un fenomeno di lunga data. Dall’antica transumanza dei pastori alle più disparate tipologie e direttrici migratorie, non è azzardato sostenere che questa regione, come l’intero arco alpino, abbia sperimentato ogni tipo di emigrazione.
Il problematico rapporto popolazione-risorse, più o meno acuto a seconda della fascia altimetrica considerata, era sovente esasperato da un insieme di concause che rendevano indispensabile, per integrare l’insufficiente reddito locale, offrire altrove il proprio lavoro.
L’emigrazione, in questo modo, non rappresentava soltanto una valvola di sfogo, ma era un importante sistema di produzione di ricchezza fondato sulla mobilità.
Anche la zona altimetrica  di residenza influiva sul tipo di emigrazione e di prestazione lavorativa offerta: esemplificando, artigiani e commercianti specializzati dalle alte valli, braccianti agricoli e segantini dal fondovalle.
La crisi economica e sociale seguita all’Unità d’Italia, che aveva sovvertito le secolari direttrici commerciali della provincia, travagliata dalle annose malattie dei principali prodotti agricoli, aveva prodotto una spinta espulsiva senza precedenti.

L’ultimo quarto dell’Ottocento è ricordato come l’epoca della “grande emigrazione”, quella che vide la disperata, definitiva, partenza oltreoceano di intere famiglie.
In questo periodo si registrò un afflusso di trentini anche in Nord America. Gli Stati Uniti erano un paese capitalistico e stavano diventando la prima potenza economico-militare mondiale. Avevano una grande capacità di sviluppo e un forte bisogno di mano d’opera e di capitali. I trentini non giungevano negli USA per ottenere terra in proprietà, in quanto la corsa verso l’ovest era già terminata, ma trovavano occupazione soprattutto nei settori minerario ed industriale.

La crisi di fine Ottocento, sostanzialmente, si trascinò senza una concreta soluzione sino alla Grande Guerra, nonostante il miglioramento di alcuni settori agricoli - cui non erano estranee le rimesse degli emigranti - e lo sviluppo del turismo. L’annessione del Trentino all’Italia determinò una fase di grande dinamica sociale. Nel dopoguerra ripartirono per l’estero coloro che erano rientrati a causa della belligeranza, seguiti da coloro che costituivano la nuova generazione migratoria (la cosiddetta quota di emigrazione fisiologica) e dai non pochi sbandati prodotti dal mutamento della situazione internazionale ( la cosiddetta quota di emigrazione congiunturale).

 

Spunti bibliografici:

CIUFFOLOTTI ZEFFIRO, MAURIZIO DEGL’INNOCENTI, L’emigrazione nella storia d’Italia. 1868-1975, Vallecchi Editore, Firenze, 1978.

GRANDI CASIMIRA (a cura di), Emigrazione: memorie e realtà, Provincia Autonoma di Trento (PAT), Trento, 1990

GROSSELLI RENZO M., L’emigrazione dal Trentino. Dal Medioevo alla Prima Guerra Mondiale, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, San Michele all’Adige, 1998.